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STORIA DELLA BANDIERA DELL'EMILIA ROMAGNA

Sapevi tutto sulla bandiera dell'Emilia-Romagna?

Come e quando nasce

Nel maggio del 1974 il consiglio regionale dell'Emilia-Romagna bandì un concorso aperto al pubblico con la finalità di selezionare un emblema facilmente comprensibile e in qualche modo ricollegabile alla storia o alla morfologia del territorio. Il premio consisteva nella somma di 1.000.000 di lire italiane. Sebbene la partecipazione al concorso fosse elevata, l'esito fu un nulla di fatto, poiché la commissione nominata dalla Giunta espresse parere negativo su tutti i progetti presentati con la seguente motivazione: "in nessuna delle opere presentate la qualità formale dell'esecuzione si era congiunta alla chiara individuazione di un simbolo sufficientemente rappresentativo della regione"

 

Nel 1984 venne bandito un secondo concorso pubblico che questa volta si concluse con la scelta del bozzetto n. 57 proposto dall'architetto milanese Matteo Piazza. Questo, realizzato con un design inedito, rappresenta in forma essenziale il profilo geografico-amministrativo della regione. Secondo il disegnatore la linea curva superiore rappresenta il fiume Po e la natura, mentre la linea retta obliqua inferiore identifica la strada e l'opera dell'uomo. Il colore verde richiama infine quello della Pianura Padana. 

 

Nasce quindi la bandiera dell’Emilia-Romagna che, tuttavia, non gode ancora di status legislativo ufficiale, ma è correntemente usato in ambito cerimoniale a partire dalla fine degli anni '90.

La bandiera della Romagna

All’interno di questa regione sopravvive, ed è ancora forte, l’identità romagnola, che vuole in un certo senso distinguersi dalla cultura regionale. In Romagna il simbolo che riunisce la gente che ci abita e ne costituisce anche la bandiera è infatti la “caveja dagli anell”.

 

Il termine non è esattamente traducibile. Per capire nello specifico di cosa si tratta bisogna intraprendere un viaggio nel mondo contadino dal quale deriva.

Composta da uno stelo d’acciaio e da una parte alta e piatta, la caveja veniva posta sulla parte anteriore di aratri e carri. Dalla parte piatta, detta pagella, pendevano larghi anelli. Spesso conteneva la raffigurazione di un gallo. Le caveje avevano lo scopo primario di bloccare il giogo per evitare che appesantisse troppo il collo dei buoi. E gli anelli, tintinnando, tenevano compagnia al contadino durante i lunghi tragitti…

La caveja non era però solo un semplice attrezzo di lavoro. Col tempo, gli artigiani si sbizzarrirono per abbellire e personalizzare questo strumento. Esistevano infatti caveje da lavoro, ma anche caveje da parata. Nelle grandi occasioni, come fiere, esposizioni o sagre paesane, si usavano caveje elaborate e ricche di anelli e pendenti. I buoi venivano addobbati con coperte colorate e si sfilava con orgoglio.

Fra i pendagli che venivano legati alla pagella, non c’erano soltanto anelli, ma anche simboli. Raffigurazioni di animali, fiori, astri, croci e poligoni decoravano la caveja. Forse a causa di questa ricca simbologia, si finì col pensare che la caveja possedesse virtù magiche. Il tintinnio degli anelli, poi, si credeva che tenesse lontani il diavolo, le streghe e gli spiriti maligni. La caveja divenne quindi un amuleto dai molteplici usi. Si usava per benedire e proteggere la casa dei novelli sposi, per scacciare il malocchio, per annunciare il sesso del nascituro e per scongiurare la grandine…

Divenne un simbolo noto dopo che un manipolo di combattenti romagnoli la dipinsero sul loro vessillo da battaglia. L’opera di artigiani, artisti e storici ha contribuito a divulgare la fama di questo simbolo in tutta la Romagna… e oltre!

 

 

 

 

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